Stefano Cacciapaglia
Allestimenti - 2010, Roma, Il tesoro di Morgantina

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Il tesoro di Morgantina

Roma, Museo Nazionale Romano - Palazzo Massimo alle Terme

2010

Progettisti:
Stefano Cacciapaglia
Carlo Celia

Collaboratori:
Marco Tondo
Anna Marcucci

Fotografia:
Stefano Castellani


Il progetto architettonico ideale è per sua natura un ‘percorso ad ostacoli’ tra i vincoli imposti dalle condizioni al contorno (esigenze funzionali, desideri della committenza, costi, tecniche e tecnologie, tempi disponibili...) con l’obiettivo di realizzare un qualsiasi oggetto, dal design alla pianificazione territoriale, che risolva il tutto con l’esattezza di una conchiglia, in una sintesi perfetta di linguaggio formale, efficacia funzionale, soddisfazione del committente e del fruitore.
Il progetto di un allestimento temporaneo ha, in più, gli straordinari stimoli della velocità (dovuta ai tempi ristretti che intercorrono tra la decisione di realizzare un’iniziativa e la sua inaugurazione) e la natura effimera delle opere realizzate, che vedono rimanere come unica memoria dell’evento qualche immagine fotografica e gli elaborati grafici, quasi sempre, per mille ragioni, difformi da quel che si realizza effettivamente.
Stimoli che spingono a sperimentare soluzioni linguistiche, tecnologie, materiali e tecniche costruttive sempre nuovi. Di fatto ogni nuovo allestimento è un laboratorio per indagare sui misteriosi meccanismi del progetto, e non solo. L’allestimento di una mostra pone anche di fronte al tema di essere responsabili, con il progetto, dell’efficacia di un complesso processo di trasferimento di informazioni, percezioni, emozioni (quel che si definisce oggi semplicisticamente ‘comunicazione’) dall’oggetto esposto al suo osservatore (altrettanto semplicisticamente definito ‘il pubblico’).

In questo caso la sfida era resa ancor più difficile e stimolante dalla particolare natura della mostra: sedici piccoli oggetti di argento (in alcuni casi dorato) del terzo secolo avanti Cristo. Oggetti rimasti per secoli sotterrati per sfuggire alle razzie e poi, dopo lo scavo clandestino, passati di mano in mano per canali illeciti fino a giungere nelle sale del Metropolitan Museum di New York. Argento antico, quindi al tempo stesso opaco ma riflettente; con porosità, ammaccature, deformazioni: i segni del loro particolare vissuto; ma ancora con quella straordinaria (e per noi subdola) capacità che ha l’argento di catturare ogni minima dominante cromatica presente nella luce e restituirla amplificata.
Sedici piccoli oggetti dai raffinatissimi dettagli, nelle decorazioni, i rilievi, le incisioni ed anche le punzonature e le dediche votive: dettagli leggibili facilmente solo avendo la possibilità di tenere gli oggetti in mano, avvicinarli all’occhio ed inclinarli per cercare la luce ottimale, punto per punto.
Oggetti che raccontano una storia antica, misteriosa ed emozionante, su cui siamo in grado di fare solo ipotesi, dalla loro funzione originaria all’identità del loro proprietario; dal loro ritrovamento in epoca moderna, al misterioso percorso che li ha portati dalla Sicilia a New York.
Reperti archeologici delicatissimi anche per la necessità di essere tenuti in particolari condizioni di temperatura ed umidità relativa, oltre che, per il loro valore e la loro dimensione che li rende facilmente trafugabili, di essere protetti da possibili furti.

Enunciati quindi tutti gli ‘ostacoli’ del nostro percorso, abbiamo scelto la strada della ‘sottrazione’: ad ogni problema abbiamo cercato di dare la risposta più semplice, quella che richiedeva l’intervento minore e più invisibile.
Si è scelto di far galleggiare gli oggetti nel nero, annullando ogni altra interferenza visiva, e cromatica. Sfruttando vecchi trucchi teatrali ed espedienti derivati dagli studi sulla fisiologia della percezione, abbiamo creato un sistema nel quale il visitatore viene prima ‘allenato’ al buio con il gioco di controluce nell’ombra cinese, e poi accompagnato da una sottile linea luminosa nel percorso espositivo.
Le opere all’interno delle vetrine sono illuminate da sorgenti led, opportunamente nascoste, il cui fascio è stato volta per volta regolato per intensità, apertura e direzione per ‘bagnare’ di luce gli oggetti e sottolinearne i rilievi ed i dettagli; la temperatura colore di 3000-3200°K (warm-white) ha permesso di compensare la tendenza dell’argento di virare verso i toni freddi. Il panno nero ed il vetro di sicurezza extrachiaro, infine, hanno eliminato ogni interferenza cromatica.
La percezione ottimale è stata ricercata anche attraverso la geometria delle vetrine: l’apparente casualità della dimensione e dell’altezza da terra nasce in realtà da un preciso gioco di allineamenti e di proporzioni funzionali alla dimensione ed al punto di vista ottimale per ogni pezzo esposto; lo stesso ragionamento vale per il dimensionamento dei supporti ed il posizionamento delle asole in cui sono nascosti i faretti.
La ricchezza di decorazioni e di dettagli è stato il tema più difficile da risolvere; alcuni pezzi, poi, presentavano elementi decorativi anche sotto la base. Si è scelta la strada di delegare ad immagini fotografiche ‘macro’ ad altissima definizione, presentate in grande formato su pannelli retro-illuminati, la lettura dei dettagli: mentre in alcuni casi si è fatto ricorso a supporti trasparenti ed a specchi per mostrare parti decorate altrimenti invisibili.
Le grandi immagini fotografiche ed i testi didattici, nel gioco delle trasparenze e delle riflessioni, costituiscono anche una texture di sfondo per le vetrine, contribuendo all’ ‘appaesamento’ degli oggetti. I supporti didattici, in questo modo, affiancano senza sovrapporsi la percezione delle opere, aiutando con le notizie storiche e tecniche ad arricchire l’esperienza visiva.
Le esigenze di conservazione sono state risolte con un sistema passivo di controllo dell’umidità; anche la tecnologia led delle sorgenti luminose ha contribuito a mantenere bassa la temperatura all’interno delle vetrine ed ha consentito di contenere il consumo energetico della mostra sotto i 2 Kilowatt.
Una piccola mostra (in tutto solo 45 metri quadrati) di pochi pezzi, a basso consumo energetico, pensata e realizzata in pochissimo tempo e con risorse ridotte, ma che ha richiesto l’impegno congiunto di molte professionalità: architetti e grafici, fotografi, restauratori, archeologi, per un risultato invisibile ed efficace in cui gli oggetti esposti sono i protagonisti assoluti.